GLASGOW
All’asilo disegnava una casa bianca, davanti al mare; a sua madre chiedeva che fine avesse fatto il cane maculato e la macchina nera. Eppure Cameron Macaulay, classe 2001, vive a Clydebank, vicino a Glasgow, dalla finestra della sua stanza vede i tetti di mattoni rossi e, soprattutto, nessun cane maculato è mai circolato per casa, tanto meno una macchina nera è mai stata parcheggiata in garage.
Lontani chilometri dalla terra dell’Induismo e del Buddhismo, la vicenda dello scozzese reincarnato, è già diventata un documentario per la Tv. Certo non ha nulla a che vedere con il misticismo di Osel Hita Torres, il bambino spagnolo ritenuto la reincarnazione di un Lama, che fu accompagnato dal padre tra i monaci buddhisti tibetani nelle montagne del Buthan, e che ispirò il «Piccolo Buddha» di Bertolucci. Eppure è destinata a restare negli annali delle reincarnazioni post-moderne. D’altronde, se lo stesso Osel ora vive a Ibiza e per il compleanno ha chiesto una moto nuova, il Dalai Lama in persona ha spiazzato il mondo l’estate scorsa proponendo di cercare il successore tra la comunità monastica in esilio. Altro che tra i reincarnati. Ritornando in Scozia, la storia di Cameron, il bambino con il caschetto biondo e gli occhi azzurri inizia nel 2003. «Aveva tre anni - spiega la madre, Norma - quando si mise a raccontarmi le storie dei suoi compagni di Barra, un’isola a 300 chilometri di distanza». E non era che l’inizio. «Parlava dei suoi fratelli, dei capelli lunghi e castani di sua madre che gli leggeva un grande libro su Dio e di come suo padre, un certo Shane Robertson, fosse morto investito sulle strisce pedonali. Ero sconvolta». Norma ha i capelli rossi, non è religiosa, è una mamma single, e può contare solo su Martin, il fratello maggiore di un anno di Cameron.
Il tempo passa, il bambino cresce e la sua fantasia si colora di dettagli. «Non devi temere la morte - diceva alla madre - perché si ritorna: mi chiamavo Cameron anche prima». Dopo la filosofia si dedica alla rassegna della vita quotidiana. «Iniziò a lamentarsi perché nell’altra casa aveva tre bagni, mentre noi ne abbiamo solo uno». E poi perché «nell’altra vita trascorreva i pomeriggi giocando sulla scogliera dietro casa e perché con l’altra famiglia viaggiava molto, mentre noi non siamo mai usciti dalla Scozia». La mamma, i parenti e le maestre resistono fino al sesto compleanno, quando Cameron inizia a piangere perché, diceva, «gli mancava la sua famiglia di Barra». E, soprattutto, quando Norma scopre che una casa di produzione cinematografica è alla ricerca di storie di reincarnati.
È lì che la mamma 42enne decide di fare le valige e di portarlo a Cockleshell Bay, nell’Isola di Barra. Con al seguito una telecamera e Jim Tucker, il direttore della clinica di psichiatria infantile alla Virginia University, esperto in reincarnazioni. «Dopo qualche giro abbiamo trovato la casa bianca, sul mare, con i famosi 3 bagni». A quel punto anche lo psicologo ha avuto un sobbalzo. «Nel 70% dei casi - spiega Tucker - i bambini ricordano morti avvenute in circostanze non naturali, incidenti o episodi traumatici». Occasioni in cui, secondo l’esperto, memoria ed emozioni sopravvivono. «La morte improvvisa del padre è stato un trauma per Cameron - commenta Tucker -. E questo suggerisce che la sua coscienza non è un prodotto del cervello, ma piuttosto un’entità distinta, capace di sopravvivere anche dopo la morte del corpo».
Scetticismo a parte, l’effetto sorpresa nel documentario è stato garantito. «Cameron era raggiante - racconta la madre -. Trovò l’entrata segreta della casa che tante volte aveva disegnato e mi disse quanto fosse ansioso di presentarmi alla sua famiglia». Membri di cui, però, non si trova traccia. La casa era abbandonata e all’anagrafe non è stato trovato nessun Shane Robertson. Si è risaliti a un certo Robertson, vissuto nella casa bianca tempo addietro e poi trasferitosi a Stirling. «Cameron guardò le foto di famiglia e riconobbe il cane maculato e la grande macchina nera di cui tanto aveva parlato». Certo non si è messo a parlare in perfetto dialetto Danzhou come fece nel 1979 Tang Jiangshan, bambino cinese della provincia di Hainan, che a soli 3 anni disse alla madre di chiamarsi Chen Mingdao, di essere figlio di Sandie, di abitare a 160 chilometri di distanza e di essere stato ucciso durante la Rivoluzione Culturale Cinese da un colpo di pistola. Compiuti i 6 anni i genitori lo portarono nel villaggio dei racconti e senza batter ciglio, Tang entrò nella casa del padre, riconobbe le sorelle, la fidanzata e iniziò a conversare come se fosse sempre vissuto lì.
Cameron si è accontentato di aver visto la casa sul mare con un’entrata segreta e alcune foto di un cane maculato e di una macchina nera. Risolto il mistero, si è rilassato ed è tornato a Clydebank insieme alle telecamere della troupe. Lo psicologo, invece, è volato alla clinica in Virginia con una storia in più da analizzare: «Da quando abbiamo aperto il sito - dice - sono più di 100 i casi simili a quello di Cameron».
martedì 24 novembre 2009
domenica 15 novembre 2009
I CENTO PASSI DI DANIELE
DANIELE, DUE ANNI
250 MILA EURO PER SALVARLO
Una famiglia scopre che i soldi per la ricerca non ci sono più.
Un bimbo felice, una corsa contro il tempo. E’ l’unico caso al mondo:due genitori lottano, su Internet,perché viva.
http://www.danieleamanti.it
http://danieleblog.spazioblog.it
Un universo in gran parte sconosciuto quello delle malattie rare. Che però
coinvolge una persona ogni duemila abitanti:
troppo poche perché diventi un problema
nazionale, troppe a fronte delle risorse
investite per i farmaci o la creazione di centri
di eccellenza. Sono 435 le patologie
ufficialmente censite, contro le circa 8000
esistenti. Una cifra sottostimata, secondo
l’Istituto superiore di sanità, anche perché
sette regioni italiane non hanno ancora
fornito i propri dati.
Anche i nomi delle patologie sono per addetti
ai lavori: tra quelle censite, le più frequenti per
gli adulti sono i difetti ereditari della
coagulazione (6000 casi), le connettività
indifferenziate (4000 casi), le anemie ereditarie
(3000 circa) e la sclerosi laterale amiotrofica
(circa 2.400 casi).
Diverso è il caso dei bambini, che sono
soggetti per il 27% a malformazioni congenite,
per il 22% a patologie ematologiche, e poi
ancora a gravi problemi neurocutanei.
I CENTO PASSI DI DANIELE
Ha 2 anni: una distrofia rarissima lo sfiancherà
Per salvarlo serve la ricerca. Ma l’Italia è al palo
di Luca Telese
Il giorno in cui i medici gli hanno
dato la notizia, la prima reazione
di Fabio Amanti è stata un gesto.
Un movimento quasi automatico.
E’ difficile raccontarlo, il dolore
dei padri: spesso non ha parole. Lui,
quando ha ricevuto la notizia è rimasto
impietrito. Poi si è tolto l’orolo -
gio, lento, e non se lo è più rimesso:
“Da allora il tempo è diventato nemico,
e la salvezza di Daniele è una lotta
contro il tempo. Ecco perché non potevo
più guardare le lancette girare
spensierate sul quadrante”.
Bambini a passo di danza.Fabio ed
Eliana sono i genitori di Daniele. E
quella mattina del 9 febbraio 2008
hanno avuto la certezza che loro figlio
era malato. Affetto da un male raro:
anzi, l’unico caso noto (al mondo)
di una particolare forma di mutazione
che causa la distrofia muscolare di
Duchenne. In Italia 5 mila persone
combattono contro questa malattia e
la sua forma meno violenta, la distrofia
di Becker. I muscoli di questi bambini
(i sintomi si manifestano fra i 2 e i
4 anni) sono attaccati progressivamente:
si cammina con sempre maggiore
difficoltà, prima o poi si finisce
in sedia a rotelle, finché – uno ad uno
– vengono intaccati gli organismi vitali.
Alla fine, quando la distrofia progredisce
allo stadio finale, tocca
all’apparato respiratorio: diaframma,
muscoli intercostali, cuore. La prima
cosa che vogliamo raccontarvi, in
fondo, è semplice: Daniele non ha ancora
3 anni e ha bisogno di 250 mila
e u ro .
Per ora, però cammina sorridente. Solo
se lo guardi con attenzione noti
un’andatura strana, quasi un passo di
danza. E’ un movimento elegante,
persino: in realtà Daniele forza i talloni
per stare in equilibrio. Ma ha ragione
suo padre, è una lotta contro il
tempo: in uno qualsiasi di questi giorni,
il male potrebbe farlo precipitare
nel tunnel della distrofia. Eppure la
storia che vi racconto non è una melensa
esercitazione, un apologo di
buoni e lacrimevoli sentimenti. E’ la
storia di una battaglia difficile e bella
iniziata proprio davanti a quel verdetto,
in quella stanza in cui le lancette
hanno smesso di girare, nel punto in
cui molti altri avrebbero gettato la
spugna. E’ la storia di due genitori
normali, che vivono del loro stipendio:
Fabio ha un negozio di computer,
Eliana è architetto, un mutuo. E’ la
storia di un bambino biondo, bellissimo
e con gli occhi azzurri che è diventato
una celebrità su Internet, ed è
(anche) la storia di una impresa. Un
apologo involontario su un paese in
cui spesso chi viene colpito da un destino
feroce deve fare tutto da solo,
affrontando molte difficoltà in più, invece
che qualcuna in meno.
Ricerca & brevetti. In Italia, tanto
per dire, molti ricercatori di talento si
occupano delle sindromi distrofiche.
“Ma quando arrivano a qualcosa – rac -
conta Fabio – “sono costretti a vendere
i brevetti all’estero, perché nel
nostro paese nessuno ha la forza per
svilupparli”. Il primo segnale che allarma
Fabio ed Eliana, racconta lei
“sono dei banalissimi lividi. Solo che
Daniele non era mai caduto”. Iniziano
le visite, i sospetti, i primi accertamenti
al Bambin Gesù di Roma. A luglio
la prima analisi del sangue. Quando
legge il referto Eliana è stordita: “Due
enzimi muscolari, il Cpk e l’Ldh avevano
valori fuori dalla norma: da 200 a
7000”. Eliana telefona a Fabio, che in
tempo reale, su G o og l e trova la risposta:
“L’aumento delle Cpk significa dis
t ro fi a ”. Solo la biopsia muscolare,
quando Daniele raggiunge l’età per
farla, conferma scientificamente che
il peggior sospetto è diventato realtà.
Daniele ha una particolare forma della
Duchenne. Il danno genetico si è
prodotto in uno dei 79 esoni che costituiscono
la catena della sua distrofina,
esattamente fra l’8 e il 9. Consultando
tutte le banche dati note al
mondo, Fabio ed Eliana scoprono che
non si conoscono altri casi. L’unico
modo per trovare una cura, dunque, è
un progetto di ricerca finalizzato (anche)
alla sua malattia. E visto che in
Italia ovviamente non esiste, i genitori
di Daniele lavorano all’unica soluzione,
la più difficile: costruire quel
progetto, raggiungendo i 250 mila euro
necessari con una colletta.
Burocrazia nemica. Fabio ha 43 anni,
capelli foltissimi, che tendono al
grigio, è estroverso, sorriso largo.
Eliana ha 34 anni, occhi azzurri e capelli
biondi, bella come Daniele, seria
e riflessiva. Il giorno in cui quel referto
si abbatté sulla loro vita Fabio è
disperato: “E ora?”. Lei, come nemmeno
nei film, risponde: “Non lo so.
Ma qualunque cosa sia la facciamo insieme”.
Così è stato. Metà della sua vita
Fabio la trascorreva sui computer:
il primo bandolo per uscire dal tunnel
arriva da lì. Ama giocare a scacchi in
rete: una sera vede un banner: ci si
può iscrivere a un forum. Inizia così,
raccontando la sua storia. Poi costruisce
un sito. E poi apre delle pagine su
Facebook raccontando la storia di Daniele,
giorno dopo giorno. L’unicità
di quella malattia lo rende un pioniere:
“Avevo bisogno – spiega – di due
cose: raccontare e scoprire”. Intanto
il mondo non era gentile, con la famiglia
Amanti. Quando sono andati a
chiedere un permesso invalidi si sono
sentiti rispondere: “Lo diamo solo
quando il bambino ha tre anni”. Non
ha senso questa norma: Daniele e i
bambini come lui tendono a stancarsi
e hanno un bisogno vitale della carrozzina.
Ma gli Amanti aspettano: “A
gennaio manca poco, in fondo, no?”.
Intanto avviano le pratiche per l’inva -
lidità. Hanno fortuna, gliela riconoscono.
Ma il giorno in cui l’Inps versa
la prima indennità sul conto, di nuovo
un pasticcio burocratico. La banca
non accredita i 465 euro che lo Stato
riconosce loro ogni mese: “Una circolare
interna richiede l’apertura di
un nuovo conto...”. (E tu vorresti bruciarla).
Se entri nel tunnel della malattia
sei meno tollerante con le piccole-
grandi vergogne di questo paese.
Sorride amaro Fabio: “Quando ho
saputo che i soldi per l’Alitalia sono
stati presi anche dai fondi della ricerca
raccolti con Telethon volevo sparare.
Mi sono chiesto: ma quanti italiani
lo sanno?”. Già.
Parent Project. L’incontro che cambia
la vita, in un paese in cui le istituzioni
spesso latitano è quello con
una associazione internazionale, la
Parent Project, che assiste le famiglie
PAESE REALE
Due storie
un solo libro
È madre, prima che scrittrice. Cinzia Lacalamita incontra
su Internet Daniele, decide di aiutarlo. Ha
perso sua figlia Sofia: “Il suo corpicino era perfetto in ogni dettaglio,
all’infuori di uno: un piccolo foro sulla schiena, segno di una tremenda
malattia”. Si appassiona: scrive un libro, trova l’editore, pubblica Da -
niele, storia di un bambino che spera (Aliberti, 125 pp. 11.90 euro). I diritti
d’autore vanno al Parent project Onlus direttamente sul conto (come i
contributi) perché Fabio, Eliana e Cinzia vogliono che nulla passi per
le loro mani. “Se attiveremo il fondo abbiamo la speranza che produca
risultati per Daniele. E la certezza che aiuterà altri bambini”
dei bimbi malati. Il presidente della
rete italiana, Filippo Buccella ha un
figlio di 18 anni in sedia a rotelle: “Pe r
fortuna che abbiamo incontrato lui –
spiega Fabio – Filippo mi ha comunicato
il massimo della lucidità e della
speranza: ‘Quando i medici mi diedero
la notizia di mio figlio il verdetto
era: ‘Potrà vivere al massimo 15 anni.
Adesso ne ha 18. E secondo le statistiche
di oggi arriverà a 30”’. Intanto,
nelle notti insonni che passa su Internet
Fabio si costruisce una cultura
medica da autodidatta: “I nostri muscoli
per funzionare hanno bisogno
della distrofina. La distrofina è una ricetta
di 79 pagine, e alla ricetta di Daniele
è stata strappata una pagina fra
la 8 e la 9. Bisogna trovare il modo per
ricostruire quella pagina”. Raccontando
tutto questo su Facebook Fa bio
ed Eliana trasformano il loro percorso
in una battaglia. Incontrano tantissime
persone che vogliono aiutare Daniele
e persino qualcuno che vuole
s p e c u l a re .
Truffe . Ad esempio un tizio che visto
il numero incredibile di visitatori
continua a scrivere che lui una cura
per Daniele ce l’ha: iniezioni di cellule
staminali, in Cina e Thailandia. Il
turismo della speranza. Fabio verifica
le affermazioni di questo signore,
scoprendo che non c’era nessun riscontro
scientifico. “L’offerta era un
pacchetto da 32 mila euro per 6 iniezioni.
Un imbroglio – si arrabbia ancora
Eliana – sulle speranze delle persone”.
Così Fabio lo ha scritto nero su
bianco: “Lei è un truffatore”. Intanto
Fabio si accorge che cambia il suo modo
di pensare: “Si hanno in testa tanti
sogni, sui propri figli... io amo il nuoto,
immaginavo che Daniele diventasse
sub”. Ma siccome adesso la vita
corre contro le lancette, bisogna fare
tutto prima. Fabio insegna a Daniele
ad andare sott’acqua a due anni; oppure
lo porta una giornata a guardare
gli aerei atterrare a Ciampino. E una
mattina capisce che deve chiudere il
suo negozio: “Non è nulla in particolare.
Solo che arriva un cliente e ti fa:
‘Mi salvi l’hardware: c’è tutta la mia
vita, lì... e tu, irragionevolmente, lo
guardi male”. Prima il tempo era amico
del suo lavoro: “Adesso odio il mio
lavoro perché mi ruba il tempo per
Daniele. E allora chiudo”. Anche in
questo Eliana è diversa: “Vado tutti i
giorni allo studio, torno alle otto. Poi
giochiamo fino a mezzanotte: siccome
il tempo di Daniele è prezioso, si è
dilatato”. Il 70 per cento delle famiglie
possono scoprire con l’esame del
Dna se c’è il rischio di procreare bambini
affetto da distrofia. Fabio e Eliana
non potevano farci nulla. Il loro è un
caso per cui, come spiega con una
bellissima espressione il presidente
di Parent Project“La differenza fra la vita
e la morte è la conoscenza”.
I tre muri. Su Facebook gli amici sono
diventati in un baleno 5000, il massimo.
Allora Fabio ha aperto un’a l t ra
pagina. E poi un’altra ancora. Ogni
giorno 15 mila amici chiedono cose
del tipo: “Come sta Daniele?”. Fabio
carica notizie, foto, i video girati dal
nonno. Aggiorna ogni 15 giorni il
contatore della sottoscrizione. Il 28
Aprile di quest’anno solo 9.209 euro,
una goccia nell’oceano. Il 21 agosto
già 13.849. Il 12 ottobre 15.035 euro.
E poi sono arrivati tantissimi amici.
Un giorno Gianmarco Tognazzi, con
una lunga lettera di solidarietà. Un altro
un comico come Enrico Bertolino;
e poi un’attrice come Monica
Guerritore. E poi il più celebre doppiatore
italiano, Luca Ward, “re g a l a ”
uno spot per Daniele. Scrive persino
un ragazzino di 16 anni, che ha visto
Fabio in un servizio di Studio Aperto:
“Sei un babbo da paura!”: Fabio ed
Eliana hanno riso e pianto, quel pomeriggio.
L’incontro più bello, che ha
prodotto tutti questi, è stato quello
con Cinzia Lacalamita, una scrittrice
triestina che ha perso sua figlia Sofia
per la cosiddetta schiena bifida. Scrive
un libro che finanzierà la ricerca.
Adesso i 250 mila euro del traguardo
sono meno lontani, di quando i genitori
di Daniele si emozionavano per
una notiziola su un sito Internet. In
fondo questa storia si può raccontare
anche così: “Ci sono tre muri da scalare
– dice Fabio – Il primo è la malattia.
Il secondo è la burocrazia. Il terzo
è la cura”. In camera sua Daniele ha
una collezione di modellini, e nella
sua lotta contro le lancette sfoglia
Q u a t t ro r u o t e : “Per noi – sorride Eliana
– è un bambino come gli altri. Può
sembrare una piccola cosa. Ma solo
quando capisci questo trovi la forza
per scalare le montagne”.
TRATTO DA " IL FATTO" 15 /11 /09
- PER CONTRIBUIRE :
-
- Istituito presso il Parent Project il Fondo Daniele Amanti.
- Conto Corrente Postale
C/C n. 94255007
Intestato a Parent Project Onlus
Causale Fondo Daniele Amanti
- Bonifico Bancario
Banca di Credito Cooperativo di Roma
IBAN: IT 38V0832703219000000005775
Intestato a Parent Project Onlus
Causale Fondo Daniele Amanti
- Carta di Credito
http://www.parentproject.org/italia/index.php?option=com_content&task=view&id=276&Itemid=168
Iscriviti a:
Post (Atom)